Da più di venti anni vivo quotidianamente tra arte e cibo.
L’elemento che maggiormente accomuna queste due “arti” è la sensibilità, ma in cucina ormai nulla si crea o si inventa senzarischiare di essere approssimativi e di cadere nel ridicolo.
Cucinare significa avere la capacità di combinare una serie di sapori, le conoscenze tecniche e soprattutto tanta esperienza per trasformare la materia prima in un cibo unico.
Oggi molti cuochi, esaltando l’estetica del piatto, arrivano a considerare il loro prodotto finito come una vera e propria opera d’arte dimenticando che l’Arte è un’altra cosa.
La differenza sostanziale è che un’opera d’arte è un “oggetto” che vivrà per sempre suscitando, in chi la guarda, le stesse emozioni ogni volta che avrà la possibilità di ammirarla. Un piatto, invece, potrà anch’esso suscitare emozioni, ma queste avranno vita brevissima perché il cibo va gustato immediatamente appena servito, ed una volta mangiato resterà in noi solo il ricordo dei sapori e nulla di più. Se volessimo rivivere quell’emozione, mangiando di nuovo lo stesso piatto, questa non sarà mai la stessa perché altri fattori esterni, dagli ingredienti allo stato d’animo di chi cucina, incidono sul piatto finito.
L’arte culinaria non mira alla perfezione estetica, piuttosto un artista in cucina è colui che riesce a trasmettere emozioni riuscendo a far percepire in modo equilibrato i differenti sapori degli ingredienti utilizzati.
Nel corso degli anni ho avuto la possibilità di poter cucinare per alcuni dei più importanti artisti contemporanei e la parola chiave è sempre stata la semplicità.
La maggior parte degli artisti considerano il cibo come una fonte di nutrimento che fornisce loro la forza indispensabile per tendere la tela, torcere il ferro, segare il legno, affondare chiodi, colare il gesso, modellare la terracotta e mischiare i colori.
Il cibo va mangiato e gustato con la bocca e non con gli occhi.
Discorso diverso vale invece per la funzione di coesione sociale e come momento conviviale che il cibo può avere.
Spesso, durante i giorni di allestimento che precedono gli opening, accade che davanti al cibo si stemperino le tensioni accumulate, si prendano decisioni importanti e, talvolta, che si concludano i migliori affari.
Alcuni artisti sostengono che una delle cose più belle duranti i giorni degli allestimenti sia il fatto di vedermi cucinare.
Altri invece, asseriscono che la sola mia presenza in cucina li rassicura e da loro un “senso di casa”.
Ettore Spalletti ha voluto che fossi io a cucinare per la sua inaugurazione al MAXXI di Roma.
Gilberto Zorio mi chiede come posso ricordarmi che non ama determinati sapori.
William Kentridge adora le mie polpette al sugo con uvetta e pinoli.
E infine Anselm Kiefer, l’artista con cui ho un legame più stretto (essendo il suo cuoco dal 2004) ha realizzato un libro per me: “Francesco et la poésie culinaire”, il regalo più bello che avessi mai potuto desiderare.